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Sicurezza alimentare e food policy. Il 16 ottobre il nuovo Report dell’Osservatorio
C’è un filo diretto che unisce il rapporto “Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo” (SOFI) al lavoro che portiamo avanti ogni giorno come Osservatorio sulla Insicurezza e Povertà Alimentare del Cursa. Cominciamo dai dati, dai fatti, dalle evidenze.
Lo scorso luglio la FAO, in collaborazione con il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, l’UNICEF, il World Food Programme e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha pubblicato il consueto rapporto SOFI, “State of Food Security and Nutrition in the World”. Qui vogliamo analizzarne alcuni aspetti di particolare importanza.
La fame
Secondo il SOFI nel 2023 circa 733 milioni di persone (vale a dire una persona ogni 11, il 9% della popolazione totale) hanno sofferto la fame. Questo vuol dire un incremento del 36% in più rispetto a dieci anni fa e di 152 milioni di persone in più rispetto al 2019.
L’insicurezza alimentare
Se allarghiamo la visuale ben 2,33 miliardi di persone, ossia quasi il 30% della popolazione mondiale (il 28,9%), si sono trovate in uno status definibile come di insicurezza alimentare grave o moderata (e quindi mangiare meno cibo o di qualità inferiore, o rimanere senza cibo e rimanere senza pasti per un giorno intero o più) e oltre 864 milioni di persone sono state costrette a saltare uno o più pasti durante l’anno.
Anche l’obesità continua ad aumentare. Le stime ci dicono che negli adulti si è avuto un incremento dal 12,1% (591 milioni di persone) nel 2012 al 15,8% (881 milioni di persone) nel 2022. Le proiezioni dicono che ci saranno più di 1,2 miliardi di persone obese entro il 2030. Questo problema sta colpendo quasi tutti i Paesi del mondo, indipendentemente dalla loro posizione sociale, economica e politica.
L’accesso alle diete sane
Un altro parametro per misurare la sicurezza alimentare è ragionare non solo sull’accesso al cibo ma anche sulla possibilità di avere una dieta sana: in questo caso le persone che non si possono permettere un’alimentazione sana sono ancora di più, ossia 2,8 miliardi di persone. Chiaramente, come è stato messo in luce da diverse fonti, le difficoltà ad accedere ad una dieta sana sono soprattutto economiche: salari sono troppo bassi (dato che riguarda una persona su tre) e/o protezione sociale troppo debole.
Secondo il SOFI, il costo di una dieta adeguata è aumentato in tutto il mondo, anche se i numeri assoluti sono leggermente diminuiti, passando da 2,87 milioni nel 2021 a 2,83 milioni nel 2022. Ma questo ha una motivazione soprattutto metodologica, ossia legata al calcolo dei costi.
Le diseguaglianze
Sinora abbiamo riportato dati globali, in un certo senso medi. Tuttavia, il SOFI mette in evidenza anche le profonde diseguaglianze nella distribuzione geo-economica di questi fenomeni. In Africa, si registra la più alta percentuale di popolazione che soffre la fame – 1 su 5 -, rapporto che in Asia, scende a 1 su 12. Nel 2030 il 53% delle persone denutrite vivrà nel continente africano. La situazione è in via di peggioramento in Africa, rimane grave ma stabile in Asia, mentre sono stati fatti dei progressi nella regione dell’America Latina e dei Caraibi.
Se consideriamo l’insicurezza alimentare, questa colpisce soprattutto le donne e le persone che abitano nelle aree rurali, con l’eccezione dell’Europa e del Nord America dove ad essere maggiormente esposta è la popolazione urbana. Va poi considerato che nelle aree urbane, le famiglie sotto la soglia di povertà spendono fino al 75% del loro intero budget solo per il cibo.
Se invece si prende in esame la difficoltà di accesso ad una dieta sana, questa riguarda il 71,5% di chi vive in un paese a basso reddito, il 52,6% di chi vive in un paese a medio reddito e “solo” il 6,3% del nord globale.
I driver
Le cause principali dell’insicurezza alimentare sono “semplici”: i conflitti, la bassa resilienza agli shock economici e gli eventi meteorologici estremi collegati alla crisi climatica.
Tre fattori strutturali, perché oramai persistenti, che incidono ed aumentano le disuguaglianze. Il Covid-19 è stato un momento di svolta negativa perché ha annullato i progressi degli anni precedenti e la successiva ripresa economica non si è tradotta in risultati positivi per la sicurezza alimentare.
Sulla sicurezza alimentare incide pesantemente la crisi climatica, che ha condizionato negativamente la produttività delle principali colture come grano e mais. Ci sono diverse regioni del mondo (come il Sahel o il Bangladesh e il Vietnam) la cui la variabilità climatica o l’innalzamento del livello del mare minacciano direttamente la produzione di cibo.
Inoltre, il cambiamento climatico impatta sulla qualità del cibo che è più povero di proteine, zinco, ferro. Nel 2050, 175 milioni di persone avranno carenze di zinco, 122 milioni di persone avranno carenze proteiche.
Le catene del valore sono troppo lunghe: se vengono interessate da shock, i tempi di recupero sono lunghi. È quello che abbiamo visto con la guerra russo-ucraina, in cui sono state direttamente interessate filiere fondamentali; crisi che a sua volta ha alimentato e si è intrecciata con una crisi inflattiva. Questi fatti dimostrano ancora una volta – se ce ne fosse bisogno – che la produzione di cibo ha bisogno di politiche adeguate e delle relative risorse finanziarie.
Le politiche globali
Secondo uno scenario “business as usual” di ripresa tracciato dalla FAO – quindi senza nuovi grandi shock, come guerre o eventi climatici che ne influenzino l’andamento – nel 2030 ancora 582 milioni di persone (pari al 6,8% della popolazione mondiale) soffriranno la fame cronica.
Di questo passo il GDL 2 dell’Agenda 2030 risulta sempre più lontano. Per centrare gli obiettivi per il 2030 sarebbe necessario un grande sforzo per sostenere in misura adeguata gli investimenti nella sicurezza alimentare e nella nutrizione. Tuttavia, il SOFI afferma che, tra il 2017 e il 2021, solo il 34% dell’aiuto pubblico allo sviluppo (APS) e di altri flussi ufficiali è attualmente destinato alla sicurezza alimentare e alla nutrizione.
La FAO suggerisce che gli investimenti – ossia le politiche – andrebbero integrati in un quadro unico e sistemico, che comprenda tanto le politiche ambientali (come gli interventi per l’adattamento climatico), quanto quelli per la sicurezza alimentare. Questo consentirebbe di aumentare l’efficacia e l’efficienza riducendo sovrapposizioni e sprechi. Un altro fattore è il downscaling ossia responsabilizzare le istituzioni al livello locale.
D’altro canto, in una prospettiva pubblica di analisi costi-benefici, il “costo del non intervento” ha un impatto rilevante: ancora il SOFI mette in luce che, a livello globale, il costo delle spese sanitarie per malattie non trasmissibili legate all’alimentazione sia di oltre 1.300 mila miliardi di dollari annui entro il 2030. Di contro l’investimento in politiche alimentari comporta rilevanti benefici: secondo il Global Nutrition Report, investire in adeguate politiche alimentari comporterebbe benefici economici pari a 5.700 miliardi di dollari all’anno entro il 2030 e i 10mila miliardi di dollari entro il 2050.
E in Italia?
Secondo l’ultimo Report dell’Osservatorio Insicurezza e Povertà Alimentare, l’insicurezza alimentare in Italia è strettamente legata a un accesso economico limitato al cibo, una condizione che si è aggravata negli ultimi anni a causa dell’inflazione crescente e della riduzione dei redditi familiari.
Questi fattori hanno determinato un aumento significativo della povertà alimentare, manifestata attraverso diverse forme di fame e malnutrizione, e hanno portato a una crescita nella richiesta di aiuti alimentari. Nel 2022, circa 3,4 milioni di persone in Italia hanno sperimentato insicurezza alimentare severa o moderata, con un preoccupante aumento dei casi più gravi tra il 2019 e il 2021. Parallelamente, circa il 50% della popolazione adulta italiana soffre di eccesso ponderale (sovrappeso e obesità), segno di una dieta spesso non sana e inadeguata.
Nonostante ciò, una dieta equilibrata risulta essere economicamente più accessibile rispetto all’attuale media alimentare italiana. Tuttavia, l’inflazione alimentare ha colpito duramente, soprattutto nel Sud del Paese, dove i prezzi dei prodotti alimentari, anche nei discount, sono in forte aumento.
Nel 2021, il numero di persone che hanno ricevuto assistenza alimentare ha raggiunto i 2,9 milioni, pari al 5,04% della popolazione, un dato in crescita dopo il miglioramento osservato fino al 2019, con un brusco aumento dovuto all’impatto della pandemia da Covid-19.
Le disuguaglianze territoriali in Italia, in particolare tra Nord e Sud, contribuiscono ad aggravare il problema dell’insicurezza alimentare. Secondo i dati ISTAT, il divario di reddito pro capite tra le diverse aree del Paese è significativo: nel 2022, il PIL pro capite nel Nord-Ovest è stato di circa 40.900 euro, mentre nel Mezzogiorno era inferiore del 44,5%, raggiungendo solo 21.700 euro. Questa disparità si riflette anche nei tassi di povertà: il Sud continua a registrare una percentuale di persone in povertà assoluta molto più alta rispetto al Nord, con un tasso del 9,7% nel 2022, contro il 3,9% nel Nord.
Oltre alle disuguaglianze territoriali, esistono anche disuguaglianze di genere. Secondo il Rapporto Annuale ISTAT 2022, il tasso di occupazione femminile in Italia è del 49%, rispetto al 67% degli uomini, e questo gap si traduce anche in una minore capacità economica per le donne, che sono spesso sovrarappresentate tra i soggetti a rischio povertà.
Le politiche in Italia
Pur in presenza di una filiera pubblico-privata che si regge sui fondi dell’Unione Europea e su quelli nazionali per portare aiuto alimentare ai milioni di famiglia in difficoltà, emerge con evidenza la necessità di una politica volta ad intervenire, in modo efficace, sull’insicurezza alimentare in Italia. Ad oggi manca un quadro sufficientemente strutturato e coerente.
Il Rapporto ASVIS di primavera mette in luce come Il Reddito Alimentare (emanato con il DM n. 78 del 2023) e per adesso avviato in via sperimentale in quattro città (Genova, Firenze, Napoli e Palermo) è una misura che “non appare in grado di contrastare in modo efficace la povertà alimentare”. Questo sia perché “a dispetto del termine utilizzato, il ‘Reddito Alimentare’ non è un reddito, ma una distribuzione di prodotti alimentari”, ma anche perché “la misura non è ancorata a una definizione chiara di ‘povertà alimentare’, necessaria per raggiungere in modo mirato le fasce della popolazione più bisognose e per verificare l’efficacia dell’intervento”.
Inoltre ASVIS mette in luce come “nella maggior parte dei casi è possibile solo una distribuzione di alimenti secchi e non freschi, c’è il rischio di escludere quella fascia di persone che non ha la possibilità di cucinare, come le persone senza fissa dimora o quelle in povertà estrema che non posseggono una cucina o hanno subito il distacco delle utenze domestiche”.
Insomma, le norme attive o meglio i principi che sembrano stare alla base dell’intervento pubblico sembrano non tenere conto del tema delle diseguaglianze che, di contro, dovrebbe essere il punto da cui partire tanto a livello internazionale che nazionale.
16 ottobre, pubblicazione del nuovo Report dell’Osservatorio Insicurezza e Povertà Alimentare
Il prossimo 16 ottobre esce il nuovo Report annuale dell’Osservatorio Insicurezza e Povertà Alimentare. Questa pubblicazione offre un monitoraggio dettagliato della situazione di insicurezza alimentare e malnutrizione in Italia, con un focus specifico sull’accessibilità economica a una dieta sana, l’inflazione dei prezzi alimentari e i numeri relativi agli aiuti alimentari. Il report include, inoltre, un’analisi approfondita su Roma, con dati aggiornati su povertà, inflazione, assistenza alimentare nel territorio e molto altro.